Introduzione
L'evoluzione dell'economia di mercato è stata storicamente guidata dal principio di Adam Smith secondo cui “non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse” (Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776).
Per oltre due secoli, questo concetto ha sostenuto l'idea che il perseguimento dell'interesse personale portasse automaticamente al benessere collettivo. Tuttavia, il mondo moderno ha subito trasformazioni significative: la concentrazione del potere economico-finanziario nelle grandi corporazioni, l’amplificazione delle disuguaglianze, la stratificazione sociale, per citarne alcune.
Di conseguenza, viviamo in un mondo opposto a quello smithiano, un mondo in cui la benevolenza si trasforma in responsabilità e la cura del proprio interesse in cura del bene comune.
La trasformazione delle imprese in un mondo interconnesso
Oggi, le imprese devono affrontare una nuova realtà in cui ogni punto di contatto ha un impatto su una vasta rete di connessioni. Si tratta di un passaggio da una geometria piana, lineare – che permette una lettura più chiara del ruolo di ogni singolo punto – alla topologia di rete (albero, stella, anello, lineare...).
È un modello totalmente interconnesso, dove vitali sono le connessioni, le interdipendenze, ma vengono meno le gerarchie.
Questa trasformazione richiede un ripensamento radicale del ruolo dell'impresa nella società. Pasquale Ferrari parla di biopolitica, di passare dalla dimensione internazionale a quella planetaria, anche nell’agire locale, rivedendo il nostro rapporto con tutta l’umanità, gli animali, le piante e la terra chiamando in campo una grande dose di coraggio e di immaginazione nella progettazione di ogni cosa, in risposta al mondo che cambia. Non è utopia, ma al contrario puro realismo perché se non ci attrezziamo per far fronte ai cambiamenti in corso siamo paradossalmente poco realisti.
Questo ci è apparso molto chiaro con la pandemia e siamo ora più consapevoli che i cambiamenti climatici, gli squilibri ambientali, la sicurezza alimentare e la qualità della vita non possono essere visti come un gioco a somma zero. Non c'è perfetta compensazione tra i partecipanti e questo impone un cambio di paradigma passando dal concetto di governance, di gestione, a quello di cura.
In questo nuovo contesto, le imprese devono riconoscere la loro responsabilità globale nelle proprie azioni locali, suggerendo un'inversione del vecchio adagio "pensare globalmente e agire localmente" verso un "pensare localmente e agire globalmente". Questo approccio riconosce che le imprese sono sempre più chiamate a essere agenti locali del bene comune mondiale, dell’intero ecosistema nel quale sono inserite.
Senza questa nuova consapevolezza, la parcellizzazione degli interessi provoca scontro e limita le possibilità di sviluppo per tutti.
La dimensione di senso nella cultura d’impresa
Questa interdipendenza tra dimensione globale e locale si applica anche nel rapporto tra piccole e grandi imprese, tra startup e multinazionali. Tra manager e operai, tra politici e amministratori. Nessuno è escluso in questo gioco dove ogni movimento determina una reazione verso gli altri.
Si affaccia dunque un interrogativo su quale sia il ruolo dell’impresa in questo contesto in trasformazione e quale sia la vera questione che porta alla diseguaglianza tra diverse dimensioni di impresa.
La risposta risiede nel diverso livello di accesso alla cultura, da questo si determina la disparità. Ovvero la disuguaglianza nella capacità di pensiero critico, di porsi le giuste domande, di andare a fondo sulla questione esistenziale. Anche a livello d’impresa, tutto deve partire dal senso, tanto nel nostro esistere come persone, quanto come entità giuridiche. Una proposizione di senso che richiama il purpose aziendale, che va oltre il “cosa” o il “come” l’azienda crea valore, rispondendo al perché.
Ripartire da questa dimensione spirituale di senso e declinarla all’interno di ogni scelta strategica, rimette in equilibrio l’organizzazione, le persone e traccia la direzione verso la quale tutti possono convergere, moltiplicando gli sforzi, creando nuova energia.
Un asset fondamentale per le sfide future
In un mondo di relazioni interconnesse e di nuova consapevolezza del proprio ruolo, la fiducia diventa un asset di scambio fondamentale, togliendo al potere il suo ruolo primario. Perchè in una geometria piana i ruoli di comando garantiscono stabilità, ma in una rete devi fidarti del fatto che ogni punto, ogni relazione, si prenda la sua parte di cura, di responsabilità per tenere la maglia tesa e reggere l’organizzazione tutta.
In un mondo di relazioni interconnesse e di nuova consapevolezza del proprio ruolo, la fiducia diventa un asset di scambio fondamentale.
La governance diffusa e la responsabilità condivisa sono essenziali per il funzionamento delle reti moderne, delle aziende che vogliono affrontare il cambiamento. E in un periodo storico in cui l’Industry 5.0 sta definendo una nuova relazione uomo-macchina e l’Intelligenza Artificiale coadiuva sempre più quella umana nello sviluppo del suo potenziale analitico, spetta a noi rimettere in primo piamo quel patto uomo-Terra, integrale, rimasto a lungo in secondo piano, recuperando uno spirito d’impresa che si basa sulla riflessione e sull’analisi prima dell’azione continua e razionale. E sulla condivisione di questo spirito tra collaboratori, stakeholder e shareholder.
La cultura d'impresa passa dalla managerializzazione
“Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone", scriveva Eleanor Roosevelt.
Per le imprese, la dimensione culturale - da non confondere con la formazione – deve essere coltivata all'interno dell'organizzazione. È convinzione comune pensare che il pensiero progettuale risieda all’esterno dell’impresa, ma il coraggio di immaginare, sperimentare e progettare nuove idee deve partire da chi opera ogni giorno all'interno dell'azienda. Senza paura: molto di quello che serve è già li, dobbiamo trovare il modo di accenderlo, raccoglierlo, condividerlo.
Un percorso che non può essere lasciato alla casualità o alla bontà delle intenzioni, ma che deve comprendere bene il senso della parola “manager” che racchiude non tanto il significato di ruolo o ancor peggio di potere, ma il processo di responsabilizzazione. La trasformazione d’impresa passa per forza attraverso la comprensione del significato di managerializzazione: pianificare, eseguire e controllare anche solo il proprio lavoro. Questo modello deve essere di tutte le persone e di ogni livello, non sono manager solo se comando qualcuno. Ogni punto della rete è un manager che pianifica, esegue e controlla e aggiungerei insegna, trasmette.
Un trasferimento di pianificazione unito al coraggio dell'immaginazione: il metodo è ingegneristico, ma il contenuto è creativo.
Aprire la governance verso una sostenibilità di filiera
Introdurre modelli collaborativi, passare da governance a cura, presuppone considerare che l’azienda sia un bene comune e la “governance” ha la responsabilità di attraversarla e garantirne la perennizzazione, oltre la sopravvivenza dei singoli. Un concetto in apparenza estremo, che estremizzato si esprime così nell’azienda Patagonia: “Il nostro unico azionista ora è il pianeta. Se vogliamo sperare di avere un pianeta vivo e prospero - e non solo un'azienda viva e prospera - è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo”.
L’azienda è un bene prezioso ed è dovere di tutti creare valore e ridistribuirlo, farla crescere con la consapevolezza che quanto più la governance è aperta e inclusiva, diversificata e rappresentativa, quanto più garantisce valore infinito.
Nuovi modelli di governance e organizzazioni reticolari non solo all’interno delle singole aziende, ma tra più aziende. E qui la rete allarga il perimetro e le maglie in uno sguardo che è sempre più di insieme, di filiera, di cluster, di gruppi di interessi correlati. Lo stiamo capendo adesso dove le nuove regole ESG chiamano i capofiliera a rispondere per la propria catena di fornitura, comprese le aziende più piccole a valle. Le PMI giocano un ruolo fondamentale in questa trasformazione, sono anelli della catena che trarranno benefici e stimolo da questo processo. Per le grandi, un impegno più grande verso quel passaggio da governance a cura per garantirsi sopravvivenza e valore aggiunto nel tempo.
Si comincia a leggere la nuova natura di filiera come soggetto di sistema che prende coscienza delle tante interconnessione e potenzialmente può immaginare nuove regole di relazione tra i diversi gangli.
La competitività sostenibile che genera opportunità
E come dicevamo è proprio l’approccio alla sostenibilità, il passaggio da CSR a ESG che trasferisce un metodo e istituzionalizza l’esistenza della filiera come soggetto ecosistemico. Per le PMI una dimensione nella quale essere meno sole con la consapevolezza che si tratta di un percorso, non di un singolo obiettivo. Continuous improvement, definendo le priorità e misurando gli impatti.
Un impegno che chiama le imprese alla responsabilità di comunicarlo. La comunicazione è un dovere, una responsabilità, perché trasferisce informazioni necessarie all’azione di tutti gli attori del sistema, all’interno e all’esterno. È un fattore tutt’altro che accessorio, ma parte integrante della catena del valore. Non parliamo di bulimia performativa, ma di una adeguata valorizzazione e trasmissione di contenuti seri e di qualità.
Il mercato che alimenta il pensiero circolare
“Tutto è sostanzialmente passeggero, ma il nostro ruolo è far sì che quello che attraversiamo ci sopravviva, possibilmente lasciandolo migliore”.
Le tecnologie cambiano, i servizi cambiano, le persone cambiano, ma se un'impresa mantiene il suo purpose - saprà adattarsi alla mutevolezza dei tempi, declinando la propria proposta al mercato e trovando nuovi spazi di crescita. Comprendendo sempre che “il mercato” sono tante persone che esprimono un bisogno che le aziende devono ascoltare, comprendere, trasformare in una risposta, nella miglior risposta che più soddisfa quel bisogno nell’interesse di tutti. L’ascolto è la chiave di tutto, perché nell’ascolto troviamo la risposta. È un processo circolare come circolare è la parola chiave con la quale affrontare le sfide future.
Ripensare l’azienda e il prodotto a partire dal suo fine vita è paradossalmente un esercizio di sopravvivenza complesso, ma fondamentale. Tutto torna in circolo, anche le cose più complesse, più grandi, più impegnative. Di certo nulla si butta, ma si rimodella. Reshaping, senza sprecare energie. Tutto questo impone di ripensare ai modelli di business: make or buy, make or sharing the making or…
La circolarità è il nuovo oceano blu con infiniti spazi di immaginazione e creazione per nuovi prodotti, servizi, impianti, processi. Una dimensione, quella della creatività che non fa difetto ai tanti imprenditori e imprenditrici e tecnici e ingegneri e umanisti e creativi delle nostre imprese, e che ancora oggi spiega perché - nella follia delle politiche - possiamo ancora sederci al tavolo delle 7 economie più grandi del pianeta.
Conclusione
In questo sommovimento generativo sono ancora le persone i veri agenti di cambiamento a patto che chi fa impresa alzi lo sguardo dalla quotidianità che ingabbia e limita e si prenda il tempo per interagire con il mondo. Non solo dentro un device, ma con il corpo, la carne, che sente e ascolta e trasmette. Coltivare la curiosità, dare spazio al confronto, solleticare lo spirito, abbandonarsi al silenzio, creare comunità per generare idee e accendere la volontà.
È lo spirito di impresa, dell’imprenditrice e dell’imprenditore il bene più prezioso che abbiamo per pensare ad un mondo migliore. Non conosco altro modo per creare valore se non dalla spinta di intrapresa a realizzare qualcosa di bello, di buono, di utile, di migliore.
Teniamo vivo questo spirito e mettiamolo in circolo perché si autoalimenta, si genera dalla condivisione: quanto più ci contaminiamo, dentro e fuori l’azienda, più cresciamo, allarghiamo la rete, generiamo valore e impatto positivo. Costruttori di futuri possibili.