Da circa vent’anni mi occupo di medio-piccole imprese bergamasche e lombarde, e la mia esperienza di lavoro nel supporto alle imprese per quanto riguarda i loro percorsi di marketing, di connessione con il mercato, di internazionalizzazione, di crescita sui mercati del mondo, mi regala un osservatorio privilegiato che mi permette di guardare da vicino evoluzioni e cambiamenti.
Se oggi il lavoro è precario è perché, prime fra tutte, precarie sono le imprese. Quaranta imprese al giorno in Lombardia hanno dichiarato fallimento nei primi tre mesi del 2013, e 3.637 in totale.
La disoccupazione in Lombardia è al 9%. Un dato che supera addirittura il 15%, se aggiungiamo tutti i dipendenti in cassa integrazione e coloro che hanno smesso di cercare un lavoro. 6 milioni di non occupati in Italia, 20 in Europa, riduzione del -2,3% del PIL nell’ultimo trimestre e abbassamento del 5% del potere di acquisto delle famiglie. Numeri da grande guerra.
Il sistema-Paese si trova ai nastri di partenza di una nuova corsa, di una staffetta dove, oggi come non mai, vince la somma dei tempi di tutti gli atleti in campo. Le scelte di ogni corridore determinano il risultato dell’intera gara, lo sguardo attento alla corsa degli altri è fondamentale per il coordinamento e l’equilibrio, il passaggio del testimone un momento chiave. Nessuno può sottrarsi dalla corsa, pena l’esclusione dalla gara, e nessuno può correre solo.
L’atleta che meglio conosco di questa staffetta è rappresentato dalle imprese, soprattutto da quelle medio-piccole, che devono continuare la corsa mettendo in gioco tutti gli strumenti e i nuovi mezzi che il mutato contesto richiede. Cosa devono fare le imprese? Quali ulteriori passi sono loro richiesti, nonostante siano allo stremo delle forze?
Gli elementi sono diversificati e tra questi vi è una vera capacità di guardare all’economia mondo, di svilupparsi su nuovi mercati lontani, faticosi, impegnativi e rischiosi. Di fare marketing.
Una piccola impresa di Vertova o di Brembilla può comprare un brevetto in Turchia, avere un fornitore in Bangladesh e vendere in Estonia e in Olanda. Fare almeno tre viaggi all’estero all’anno per leggere qualche pagina nuova di mondo, sfruttando la grande opportunità data da un aeroporto che ci porta in un’ora in tutta Europa: una grande dote per il piccolo imprenditore della valle Seriana del 2013.
È necessaria la capacità di attrarre cervelli o più semplicemente lavoratori formati, pronti per la sfida, di non aver paura di chissà quali costi possano determinare, così come non c’è mai stato timore di comprare un nuovo tornio o di costruire un nuovo capannone. Persone con un’intelligenza in grado di leggere i nuovi codici e i nuovi linguaggi, lavoratori 3.0 che accompagnino l’impresa verso le nuove frontiere della mondializzazione. Questi lavoratori 3.0 hanno oggi un rapporto valore/costo molto interessante che può agevolare questo tipo di investimenti, strumenti fondamentali dell’economia del futuro. Gli impianti ci sono, le macchine funzionano: servono valori intangibili che portino contributi nuovi e freschi.
È necessaria una flessibilità che sappia innovare non solo per errori successivi, ma soprattutto intraprendendo percorsi pensati e strategici di innovazione, ritenendo il cambiamento un fattore della produzione, come la terra, il capitale e il lavoro. L’innovazione e il cambiamento sono un punto di forza.
Serve l’attuazione del passaggio generazionale, tanto sentito nelle imprese della valle, che tuttavia ancora si staccano con difficoltà dal proprio figlio-impresa: l’azienda è un sistema che può aprirsi al mondo, e quindi a nuove connessioni e collaborazioni, alla capacità di lavorare insieme e di fare rete. Una filosofia su cui ci si esercita molto ma ancora troppo poco applicata nella pratica.
Cosa possono fare la Comunità Europea, lo Stato, le Regioni per supportare le imprese? Possono incentivare ciò che crea un vero valore per il futuro, intervenire con supporti che siano il seme di un processo di cambiamento, di innovazione e di internazionalizzazione finalizzata alla crescita. Possono supportare progetti che favoriscano l’introduzione di nuovi metodi di lavoro e accompagnare le aziende nell’esercizio del pensiero strategico, della pianificazione nella pratica del cambiamento. Possono spingere gli imprenditori a prendere crediti formativi, come avviene per i medici, per poter continuare la loro professione.
Le PMI vanno aiutate in questo processo di cambiamento e accompagnate, mentre le grandi aziende vanno supportate e orientate all’apertura di nuovi spazi sul mercato.
Il giusto supporto aumenterà nelle imprese il desiderio di introdurre nuove professionalità, ossia giovani in grado di affrontare nuove sfide. In questo senso, rapporti di lavoro rappresentati da percorsi di stage, contratti di apprendistato o a tempo determinato potranno vincere in termini di prospettiva per il futuro.
Ma è necessario ridurre la catena scuola/impresa, introducendo già dalla fase di studio la possibilità di conoscere ed entrare nel mondo delle imprese, magari incentivando la libera iniziativa, il lancio di nuove idee, facendo capire che uno dei modi per trovare il lavoro è crearselo. E promuovere il passaggio di consegne generazionale, come avviene all’estero ma anche in Ferrari, dove gli ultimi tre anni di lavoro dei collaboratori sono destinati alla crescita e all’accompagnamento dei giovani, in una progressiva riduzione di impegno a favore del nuovo staffettista.
Vale comunque la pena evidenziare anche il gap tecnico tra la domanda e l’offerta di lavoro. Nella pratica di tutti i giorni, spessissimo, un’impresa alla ricerca di una professionalità specifica non sa quale sia la strada migliore da percorrere. Si tratta di un problema di comunicazione da parte dei tanti operatori presenti ed è necessario un cappello leggero, virtuale, privo di costose infrastrutture pubbliche e che sappia davvero intercettare la domanda e facilitare l’offerta.
Tutti questi processi rappresentano un supporto pratico e specifico al mondo delle imprese. Un supporto che il Presidente di Confindustria continua a proporre, in forma più strutturata e variegata, ad un governo nel frattempo latitante e al quale si chiede di svolgere il proprio lavoro, definendo la visione e le linee guida in grado di tracciare il futuro del Paese, ma anche delle nostre regioni e delle nostre valli.
Cosa vogliamo essere? Tante realtà hanno preso in mano il loro futuro: Marsiglia, i Paesi baltici, la vicina Svizzera, e lo stesso Piemonte. Noi cosa vogliamo diventare? Il Paese della manifattura, della siderurgia, delle tecnologie alternative, del digitale, del tessile? Il Paese del turismo, della cultura? È necessario pensare a poli concettuali di sviluppo sui quali modellare il nostro savoir faire, in barba alle nostalgiche visioni delle grandi competenze del passato. Servono scelte coraggiose e scomode, servono idee chiare che vanno realizzate e non solo proclamate, in un mondo che è più grande delle nostre singole valli.
Noi siamo makers da sempre: dobbiamo solo alzare la testa.