Club, cenacolo, e anche lobby, se non abbiamo paura delle parole, e di quegli interessi comuni, più alti dell’interesse personale, che ci fanno riunire qui, in un luogo fisico, in un momento condiviso, faccia a faccia: il club Luberg è per noi l’occasione di un passo avanti nella tensione a fare di più rispetto al nostro agire quotidiano, quella stessa tensione che un giorno ci ha portati ad affrontare un percorso di studi, e che ci anima quotidianamente, e parlo del bisogno, della voglia, del desiderio anche possessivo di ampliare la conoscenza, il sapere, sia tecnico che umanistico, perché è questo che ci caratterizza, come soggetti d’azione e di pensiero, la propensione all’apertura continua di fonti di arricchimento culturale, che oggi è diventata quasi un comandamento, un cardine del nuovo ordine sociale ed economico.
Proprio ieri, preparando un comunicato per la mia società, ho scritto: non basta più saper produrre, non basta più saper vendere, occorre saper produrre conoscenza, sapere, informazioni, consapevolezza. Parliamo dell’incontro, a volte conflittuale, difficile, ma sempre fertile, mai inutile, tra questi due soggetti, la figura dell’imprenditore da una parte, e il ruolo dell’intellettuale dall’altra, due polarità magnetiche che accendono i rapporti sociali, ma che vivono anche dentro ciascuno di noi, come una doppia anima, come relazione tra le due forze primarie della nostra mentalità “occidentale”: il “fare”, e il “sapere”, come una tesi e un’antitesi, che trovano sintesi nel “saper fare”.
Siamo affascinati, innamorati da quelle figure di imprenditori o uomini di potere che fanno cultura, una tradizione davvero italiana, dai principi-mecenati rinascimentali come Lorenzo il Magnifico ai grandi protagonisti del boom economico come Adriano Olivetti; e allo stesso modo siamo ammirati da quei protagonisti della cultura che sanno anche fare business, penso ai grandi editori, fondatori di imperi del sapere, come Arnoldo Mondadori o Einaudi, ma anche a figure contemporanee di artisti-imprenditori, e l’esempio che abbiamo appena toccato è quello di Christo con la sua installazione-show business.
Con il Club Luberg vogliamo stabilire un presidio “soul food”, se mi passate il riferimento, un presidio di “cibo per l’anima” legato al nostro territorio, alla nostra Università, perché non sia solo un momento formativo giovanile, ma diventi l’opportunità di restare giovani sempre, perché giovane è colui che cambia, e cambia chi si nutre di sapere, idee, fermenti…
Può sembrare eccessivo, pretenzioso voler diventare un centro propulsivo di rinascita, culturale e socio-economico, ma sono le ambizioni quelle che stanno alla base di qualsiasi impresa, anche culturale. Abbiamo davanti un mondo complesso, in rapida trasformazione, un sistema industriale che deve cambiare anima, trovando una sintesi più evoluta di tecnologia e sostenibilità ambientale e sociale, parliamo di Industry 4.0 e di Economic Intelligence – da Intel-ligere (collegare) con Eco-nomia, la scienza di massimizzare le risorse –
che è la capacità di connettere, di cogliere il mondo locale e globale in modo super-economico, utilizzando indicatori eterogenei per scoprire i link decisivi tra gli individui, gli eventi, gli stati d’animo collettivi, le decisioni pubbliche e le aspettative imprenditoriali.
Liberi, neutrali, sopra le parti, con questi riferimenti, abbiamo dato vita a una serie di incontri con personaggi diversi, proprio per costruire e condividere una forma di Economic Intelligence a misura della nostra realtà, e degli orizzonti che vogliamo ampliare.
In questi mesi abbiamo avuto nostri ospiti il sindaco Giorgio Gori, il rettore Stefano Paleari, Morzenti, Pellegrini, Brevini, Tiraboschi, Comana. Serate sempre interessanti, che ci dicono di proseguire l’esperimento, nella convinzione che tra qualche anno, ripensando a questo primo periodo del nostro club, saremo orgogliosi di noi stessi, e potremo dire, come i soldati di una grande battaglia, “Io c’ero!”.